Traduzione dal francese della professoressa Cecilia Saita.
Prof.ssa Saita: «Buongiorno a tutti e a tutte, oggi ho il piacere di presentarvi lo storico Bertrand Van Ruymbeke, ricercatore, professore presso l’Università di Parigi 8 (Vincennes-Saint-Denis), e membro dell’American Philosophical Society di Filadelfia, che ringraziamo per aver accettato il nostro invito e per essere venuto presso la nostra scuola a parlare del suo mestiere di storico. Van Ruymbeke, professore di storia degli Stati Uniti all’Università a Parigi, è specializzato sulla storia delle tredici colonie britanniche, del protestantesimo e della rivoluzione americana. Tra le molteplici pubblicazioni ricordiamo tre libri: “From New Babylon to Eden. The Huguenots and Their Migration to Colonial South Carolina” (2006), “L’Amérique avant les États-Unis. Une histoire de l’Amérique anglaise 1497-1776” (2013) e “Histoire des États Unis. De 1492 à nos jours” (2 voll. 2021).
Ricordo inoltre che l’anno prossimo, il 2026, ricorrerà l’anniversario dalla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti: si festeggiano infatti i 250 anni dal 1776. Forse già lo sapete, o comunque lo studierete nei prossimi anni di liceo, ma prima della Dichiarazione d’Indipendenza gli Stati Uniti erano tredici colonie britanniche. Per celebrare la ricorrenza (è la prima rivoluzione del mondo occidentale!) e continuare a riflettere su questo evento che cambierà il mondo intero, il professor Van Ruymbeke ha creato un programma europeo sulla rivoluzione americana per la commemorazione di questo 250° anniversario dell’indipendenza degli Stati Uniti: “America 2026: Amérique, Europe, Révolutions, Indépendance et Commémorations dans l’espace Atlantique” (www.america2026.eu).
Lascio ora la parola alla classe che porrà al Professore domande relative alla passione per la storia, alla scelta degli argomenti, alle scoperte, alle fonti, al rapporto tra archeologia e storia, allo studio della storia in Italia e negli altri paesi».
Sharon: «Da quanto tempo ha questa passione per la storia? E come è nata?»
Prof. Van Ruymbeke: «A diciannove anni ho avuto l’opportunità di passare un anno nello Stato di Washington. La mia fortuna è stata quella di poter passare i primi sei mesi, da luglio a dicembre, all’interno di una riserva indiana, la Yakima National Indian Reservation, vicino alla città di Yakima, al centro dello Stato di Washington. È stato davvero entusiasmante, avevo l’impressione di essere in un film western! Durante il secondo semestre ho frequentato l’Università di Washington a Seattle. I corsi chiaramente erano in inglese, vi potete immaginare la difficoltà! Mi ricordo che durante le lezioni avevo un piccolo dizionario bilingue francese-inglese e cercavo continuamente ogni parola pronunciata dai miei professori. I numerosi sforzi sono però stati perfettamente ripagati e ho iniziato ad avere un’ottima conoscenza dell’inglese. La mia prima passione per gli Stati Uniti è nata in quel periodo. Possiamo dire che quell’esperienza a Washington ha fatto nascere in me la consapevolezza di voler intraprendere seriamente questo percorso da studioso degli Stati Uniti d’America. Ma se è vero che l’infanzia contribuisce a stimolare e a creare il nostro immaginario, ricordo anche che da piccolo avevo dei libri di storia per bambini che probabilmente mi hanno ispirato. Ora la storia è il mio mestiere ma da piccolo la
storia per me era il mondo dell’immaginazione, mi permetteva di immaginare altri mondi possibili».
India: «Cosa l’ha spinta a diventare professore?»
Prof. Van Ruymbeke: «Dopo l’università sono stato professore alle medie e al liceo per due anni. È stata un’esperienza molto ricca e stimolante, tuttavia sentivo ancora la necessità di continuare il mio percorso di studi, di specializzarmi ad un livello ancora più alto sulla mia materia. Sin da studente ho sempre avuto una grande ammirazione per i professori, non tanto per il loro lavoro di ricerca quanto per il loro sapere. Allora ho deciso di iscrivermi a un dottorato alla Sorbona per continuare gli studi. Il dottorato, anche detto Ph.D., acronimo di “Doctor of Philosophy”, è il più alto grado di istruzione universitaria, e solitamente dura dai tre ai quattro anni durante i quali si lavora ad una tesi su un progetto personale di ricerca. Il mio riguardava un argomento che in qualche modo univa il mio paese d’origine, ovvero la Francia, e gli Stati Uniti, ovvero le migrazioni degli Ugonotti in America (in
particolare in South Carolina) durante il diciassettesimo secolo. In quel momento il mio futuro lavorativo rimaneva molto incerto. Avevo però due grandi certezze: l’amore per il sapere e il desiderio di
condividere questo sapere con gli altri, il desiderio di formare delle persone».
Asia: «Cosa preferisce del suo lavoro?»
Prof. Van Ruymbeke: «Amo molto formare le persone ma in questo momento sono particolarmente dedito alla ricerca, quindi scrivo articoli, libri e tengo delle conferenze. Riconosco che la scrittura è un’attività faticosa, spesso infatti la paragono all’attività fisica della corsa. Ma sapete anche voi che dopo una corsa il corpo trae grandi benefici. L’importante è mantenere l’esercizio: se la pratica è costante, lo sforzo sarà sempre minore. La scrittura per me è una pratica sempre attiva, per questo motivo la fatica viene superata da una grande soddisfazione. Infatti, ogni volta che finisco un libro, la tentazione di prendermi una pausa viene annullata dal desiderio di iniziare una nuova esperienza di scrittura. In generale poi amo molto l’atmosfera dell’università, poter avere uno scambio con gli altri. Quello del ricercatore è un mestiere internazionale, si incontrano persone da tutto il mondo. Io per esempio, per
tenere conferenze o lezioni, sono stato in Africa del sud, in Giappone, negli Stati Uniti chiaramente, in Canada, in Australia, e ovunque in Europa. Ogni volta incontro persone che fanno il mio stesso mestiere ma con dei metodi o degli approcci diversi».
Sara S.: «Studiare bene la storia rispetto a qualcuno che non lo ha fatto, cosa le ha insegnato sull’uomo?»
Prof. Van Ruymbeke: «Ogni volta che studio un nuovo tema imparo un nuovo aspetto dell’esperienza umana e questa esperienza umana anche per me è un insegnamento. Imparo molto perché cerco di entrare il più possibile nella mentalità di ogni epoca che studio. Cercare di calarsi in un’epoca è un esercizio molto complesso. Non solo perché è necessario ricostruire il contesto socio-culturale ma anche perché, per entrare davvero in sintonia con un’epoca del passato, devo cercare di dimenticare tutto quello che è successo dopo: devo calarmi nello spirito del tempo cercando di non pensare agli accadimenti successivi. Per esempio il tema che studio sono gli Stati Uniti quando ancora non erano nulla: li studio nel momento in cui erano ancora delle piccole colonie isolate. Devo quindi studiarle senza pensare che a un certo punto quelle piccole colonie isolate sarebbero diventate una delle potenze più importanti del nostro mondo. In tutti i periodi storici noi abbiamo delle biforcazioni, dei sentieri possibili che sono infiniti. Anche oggi non sappiamo dove andrà la nostra storia, esistono tante possibilità. Studiando un’epoca del passato devo quindi dimenticare la strada che ha intrapreso la storia e devo ristabilire le opzioni possibili. Non mi devo far condizionare da ciò che c’è stato dopo, tutto il possibile diventa di nuovo possibile. Se per esempio pensiamo alla rivoluzione francese, dobbiamo sapere che l’anno precedente, ovvero nel 1788, nessuno si sarebbe immaginato una cosa simile. Questo esercizio sembra semplice ma è molto difficile: quando conosco il finale di una storia, ad esempio, non posso non esserne condizionato nella lettura. Invece, quando scrivo un libro, devo fare questo sforzo: devo pensare che gli attori della storia non immaginavano come sarebbero andate le cose. Lo storico deve avere quindi molta immaginazione: deve immaginare tutte le possibilità, tutti i sentieri possibili che ogni epoca porta con sé. Questo sforzo di immaginazione mi insegna moltissimo sull’uomo, sui
desideri, sulle speranze, sui sogni, sugli ideali che in ogni epoca si sono affacciati nella storia dell’umanità».
Claudia: «Come sceglie gli argomenti di ricerca e in base a quale criterio?»
Prof. Van Ruymbeke: «Sono convinto che nella scelta del tema ci sia una dimensione personale. Un dato tema deve appassionarmi in modo da non perdere mai la motivazione in ricerche che possono durare anche degli anni. Tuttavia questo interesse personale non deve emergere troppo, lo storico deve mantenere un distacco. Infatti nella scelta di un tema lo storico deve rispettare anche altri criteri. Questi sono: l’interesse del tema (ovvero la necessità di scrivere un nuovo libro su quel determinato tema), la nostra epoca (ogni epoca sente l’urgenza di occuparsi di alcuni temi piuttosto che di altri), la fattibilità della ricerca (questa riguarda: la presenza e la disponibilità di fonti per trattare un determinato tema e la delimitazione della ricerca in modo che non sia troppo vasta). A volte capita che i miei dottorandi mi chiedano di lavorare su temi partendo da un interesse personale,
senza però che questo rispetti gli altri criteri che vi ho elencato. Nel caso infatti non ci siano abbastanza fonti, archivi, oppure se il tema proposto è troppo vasto, sono costretto a invitarli a pensare a un diverso tema di ricerca».
Sara M. «Degli argomenti che ha studiato quale l’ha appassionato di più?»
Prof. Van Ruymbeke: «È difficile da dire ma tutti i temi che ho scelto mi hanno appassionato molto anche perché è la passione che mi spinge a studiare e a scrivere. Ogni libro richiede tanti anni di lavoro. Il mio ultimo libro, “Histoire des États Unis. De 1492 à nos jours”, mi ha richiesto cinque anni di ricerche e di scrittura. Se non avessi la passione per ciò che studio non riuscirei a scrivere. Tra gli altri, un tema che mi interessa molto è l’immagine del Nuovo Mondo. Una domanda molto interessante per esempio è: «Cos’è il Nuovo Mondo per qualcuno che viveva nell’epoca in cui l’America è stata scoperta?». Dobbiamo ricordarci che l’immagine dell’America è mutevole a seconda dell’epoca in cui viviamo: l’immagine dell’America muta come mutano le epoche. Per esempio adesso la nostra immagine dell’America sono le grandi città, la natura, il denaro...ma nel XVII e nel XVIII secolo non era la stessa. Nel caso dell’America, però, esiste una costante, cioè un’idea che sembra rimanere invariata nei secoli: ovvero un’idea di novità, di alterità. Questa è un’idea che rimane immutata da quando l’America è stata
scoperta ad oggi. Il Nuovo Mondo è infatti diverso dall’Europa che invece ha una storia comune. Vi mostro le immagini della copertina del mio ultimo libro: nella parte superiore è rappresentata la New York delle origini e nella parte inferiore la New York che tutti conosciamo. Sapete come si chiamava in origine New York? Nuova Amsterdam! Era olandese ed era un villaggio! Ciò che mi ha sempre interessato e affascinato è capire come quel piccolo villaggio sia diventato la New York che oggi tutti conosciamo».
Giorgia: «Ha mai pensato di abbandonare la sua carriera? Qual è stata la ricerca che le è piaciuta di meno e perché? E infine una curiosità, quante pagine hanno i suoi libri?»
Prof. Van Ruymbeke: «No, non ho mai pensato di abbandonare il mio lavoro. Sicuramente ho una grande fortuna: il mestiere all’università cambia continuamente ed è difficile annoiarsi. Per esempio rispetto all’inizio della mia carriera adesso ho tanti dottorandi, quindi faccio meno lezioni ma formo i dottorandi alla ricerca. Per quanto riguarda le possibili delusioni nella ricerca, non ho ricerche che mi siano piaciute di meno perché, scegliendo io gli argomenti, è difficile che non mi piacciano. Magari posso essere deluso dalla povertà di fonti. Della presenza o della scarsità di fonti infatti mi rendo conto quando inizio la ricerca e vado in archivio. Talvolta posso constatare che non ce ne sono abbastanza. Pensando invece al mio ultimo libro vi posso dire che spesso ho provato molta fatica poiché ci son voluti ben cinque anni di scrittura! Inoltre, su un libro come quello sulla storia degli Stati Uniti, ci sono stati dei periodi per me meno interessanti di altri. Quando si scrive un libro ci sono sempre delle sorprese, ma direi non soltanto negative: magari scoprite un documento inatteso oppure trattate un argomento e vi scoprite molto più interessati di quanto avreste immaginato. Per esempio io sono specializzato sul XVII e sul XVIII secolo ma nel mio ultimo libro ho adorato scrivere il capitolo su Barack Obama, quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti. Per rispondere all’ultima domanda, i miei libri sono diventati sempre più lunghi: il primo è di 450 pagine, il secondo di 700 pagine mentre il terzo di 880 pagine!».
Hajar: «Come ha fatto a fare le sue scoperte?»
Prof. Van Ruymbeke: «Ho due risposte. La prima è trovare un tema: o un tema su cui nessuno ha scritto nulla o un tema che è stato trascurato. In questo caso, il tema stesso può essere considerato una scoperta.
Altrimenti si può fare una scoperta negli archivi: allo storico può accadere di trovare, tra le carte archiviate, qualcosa che non è mai stato consultato. Vi faccio un esempio che mi è realmente accaduto: dietro ad un giornale mi è capitato di trovare scritta una lettera. Durante l’epoca che studio la carta era molto costosa e rara, soprattutto nelle colonie britanniche. Così per scrivere la lettera e non dover affrontare il costo della carta nuova, è stato utilizzato come supporto, quindi potremmo dire “riciclato”, un giornale».
Viola: «In base all’avvenimento che si studia c’è sempre lo stesso metodo per cercare informazioni?»
Prof. Van Ruymbeke: «Il metodo di ricerca dipende dal tema della ricerca e dall’epoca che si studia (antica o contemporanea). Se studio un’epoca antica infatti le fonti sono diverse e solitamente sono meno numerose. Se studiate l’epoca contemporanea invece potete incontrare gli attori della storia. Se studiate epoche del passato non potrete mai incontrare nessuno. Io purtroppo non incontrerò mai Benjamin Franklin, padre fondatore degli Stati Uniti d’America, George Washington, primo presidente degli Stati Uniti, o Thomas Jefferson, autore della Dichiarazione d’Indipendenza del 4 luglio del 1776 e terzo presidente degli Stati Uniti. Inoltre per l’epoca contemporanea avete immagini, interviste, film, email. Le fonti si sono moltiplicate. Per il mio ultimo libro che riguarda il periodo dalla scoperta dell’America ad oggi (2025), una sfida interessante è stata adeguarmi al mutare delle fonti da consultare
per fare ricerca su ogni periodo. Dunque per il periodo che va dal 1950-1960 ho trovato dei video, ad esempio di John Fitzgerald Kennedy, trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti, e di Richard Nixon, trentasettesimo presidente degli Stati Uniti. Ho potuto usare la stampa, come il New York Times e il Washington Post, importantissimi quotidiani statunitensi. Preziosissimi sono stati anche i film poiché verso la fine del libro parlo molto della cultura contemporanea: la musica, i film e le serie televisive».
Emma: «Cosa succede quando si trovano nuove informazioni?»
Prof. Van Ruymbeke: «Quando si trovano nuove informazioni è un momento di gloria. Dunque la prima cosa è scrivere e pubblicare un articolo per far conoscere agli altri la vostra scoperta. È molto importante perché sull’articolo apponete la vostra firma in modo che nessuno potrà impossessarsi della vostra scoperta. È come un brevetto, diventa di vostra proprietà. Ho un aneddoto su questo tema. Ho un amico che fa ricerca sui pirati. Un giorno gli è capitato di vedere alla televisione un giornalista famoso che presentava il proprio libro sui pirati. Dunque, incuriosito, è andato a comprare il libro di questo giornalista. Legge il libro e scopre che al suo interno c’era un intero capitolo identico, parola per parola, a un articolo scritto da lui! Il giornalista si era quindi impossessato indebitamente del capitolo scritto dal mio amico! A questa scoperta è seguita una denuncia e un processo, vinto dal mio amico. Il giornalista aveva infatti commesso un reato di “plagio intellettuale”, si era appropriato indebitamente di un testo altrui e aveva lucrato su questo. A seguito del processo, il giornalista ha dovuto aggiungere nel
suo libro una nota che rimandava all’articolo del mio amico, dichiarando quindi il vero autore. Questo episodio fa capire l’importanza di essere vigili, di proteggere il proprio lavoro. Si possono infatti
incontrare persone che si impadroniscono delle nostre ricerche e delle nostre scoperte».
Martina: «Dove trova gli argomenti per le sue ricerche e come fa a dimostrare che le informazioni sono vere senza prove?»
Prof. Van Ruymbeke: «Per trovare un tema si può avere un’intuizione o un colpo di fortuna, oppure avere un’idea a partire dall’ascolto di una conversazione, dalla lettura di un libro o di un articolo. La difficoltà è che, come abbiamo detto, quando scegliamo un tema non sappiamo se è possibile scrivere un libro su questo tema perché non conosciamo ancora le fonti: non sappiamo se ci sono abbastanza fonti, se sono interessanti... Una qualità che serve in questo mestiere è infatti quella di essere flessibili, di sapersi adattare. È possibile che dobbiamo cambiare tema o riadattarlo. Solo un’idea infatti non fa un libro, non è sufficiente. Per rispondere alla seconda domanda, per la storia non possiamo parlare veramente di prove, forse soltanto di prove che un evento si è verificato. Per il processo di ricerca storica parliamo di fonti. La storia infatti non è come la matematica in cui dobbiamo provare qualcosa. Possiamo dire che lo storico parte da un’idea, ovvero da un’ipotesi, e le fonti permettono di confermarla. In questo senso si può reinterpretare il concetto di prova».
Gioele: «È mai andato a uno scavo archeologico di persona? Per uno scavo ci devono essere delle condizioni meteorologiche adatte o si può fare anche con la pioggia? Ha mai scoperto qualcosa?»
Prof. Van Ruymbeke: «Comincerei con il dire che l’archeologia e la storia sono due discipline differenti ma molto vicine l’una all’altra: gli archeologi e gli storici infatti svolgono due lavori diversi ma complementari. Per gli Stati Uniti l’archeologia riguarda sia gli amerindi, occupandosi di scoprire dei siti che erano popolati prima dell’arrivo degli europei, oppure può occuparsi di cercare dei forti o degli edifici coloniali che sono scomparsi. Personalmente mi sono recato presso degli scavi in South Carolina, insieme a degli archeologi che cercavano il sito di un fortino francese che era stato costruito nel 1562, durante il Rinascimento. E proprio in quell’occasione, insieme agli archeologi, abbiamo scoperto il luogo del fortino francese. Gli scavi hanno rivelato che il fortino francese da noi ricercato era stata nascosto da un più recente fortino spagnolo. Abbiamo infatti trovato sul sito del fortino spagnolo dei
frammenti di piatti e di caraffe che però erano francesi, venivano dalla Normandia, una regione della Francia. Così abbiamo capito che sotto al fortino spagnolo si nascondeva un fortino francese. Nella storia sono frequenti queste stratificazioni...so ad esempio che voi avete studiato quest’anno gli scavi di Heinrich Schliemann, giusto? Anche in quel caso avete scoperto che sulla città di Troia sono state costruite altre città... Così in South Carolina gli spagnoli hanno costruito il loro fortino sopra a quello francese. Per quanto riguarda la questione metereologica, è molto importante che ci siano buone condizioni metereologiche, che non faccia né troppo freddo né troppo caldo, e che non vi siano precipitazioni in corso. Concludo con una curiosità sugli scavi archeologici, non molti immaginano infatti cosa accade dopo aver effettuato degli scavi. Ciò che accade è che tutto viene ripristinato come prima delle attività di scavo, per preservare l’integrità del sito».
Chiara: «Negli altri paesi usano le stesse cartine geografiche che usiamo noi? E studiano i nostri stessi argomenti?»
Prof. Van Ruymbeke: «Come sapete in Italia, e in realtà in tutta l’Europa, quando facciamo delle carte geografiche, collochiamo l’Europa al centro, l’America a sinistra e la Russia e la Cina a destra...ma non è così per tutti i paesi del mondo. La prima volta che ho potuto constatare questo fatto ero in Australia. Sono entrato in un’agenzia di viaggi dove c’era una cartina del mondo e l’Australia si trovava in mezzo nella rappresentazione cartografica. Il modo in cui disegniamo le carte rappresenta infatti la nostra visione del mondo: quest’ultima è molto soggettiva, rispecchia il modo in cui vediamo il mondo a seconda della nostra posizione nel mondo. Per gli australiani, giustamente, l’Australia è il centro del mondo. Per quanto riguarda l’altra questione dobbiamo sapere che, anche se gli storici cercano di essere oggettivi, sono condizionati dalla loro cultura, dalla loro vita, dai loro orizzonti, dai loro luoghi di
nascita e anche dal modo di insegnare dei professori che li hanno preceduti. Il modo di studiare gli Stati Uniti può quindi mutare a seconda degli approcci dei diversi paesi: a volte può essere un approccio più politico, più storico, più letterario, a volte può essere un approccio cronologico, a volte tematico».
Prof.ssa Saita: «Vorrei porle un’ultima domanda, ringraziandola per il suo tempo e per averci fatti entrare nel vivo del suo mestiere di storico. In questo momento si sta dedicando alla scrittura di un nuovo libro?»
Prof. Van Ruymbeke: «Sì! Sto scrivendo un libro che studia il cammino delle tredici colonie britanniche verso la Dichiarazione d’Indipendenza del 1776. Si intitolerà “1776. L’année américaine. Guerre et Indépendance”. È diviso in quattro stagioni, corredate da rilevamenti metereologici dell’epoca che ho trovato negli archivi di Filadelfia. In questo modo il lettore potrà seguire la storia sapendo anche che tempo facesse giorno per giorno! L’idea principale di questo libro è di mostrare come si sia formato il Congresso con i rappresentanti delle tredici colonie della Georgia a sud e del New Hampshire a nord, e come a poco a poco la maggior parte dei delegati del Congresso siano
diventati sostenitori dell’indipendenza, cosa che non si sarebbe mai detta possibile neanche un solo anno prima, ovvero nel 1775. Paradossalmente la svolta verso l’indipendenza è stata allo stesso tempo subitanea, verificandosi in un tempo storico breve, ma allo stesso tempo progressiva. Il libro che sto scrivendo vuole essere lo studio di un anno rivoluzionario giorno per giorno, un’osservazione con la lente d’ingrandimento potremmo dire. Si tratta di un esercizio di scrittura opposto rispetto al mio precedente libro dedicato a cinque secoli di storia. Vi anticipo che studiando l’anno 1776, giorno dopo giorno, diventa chiaro che l’indipendenza si decise tra il marzo e il giugno del 1776, in un lasso di tempo molto breve.
Per concludere vi faccio entrare nel vivo del processo di creazione di questo nuovo libro: ecco in anteprima le tre copertine possibili. Cosa ne pensate?».